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“Che Dio protegga l’Italia e tutti i suoi abitanti” (“abitanti” e non “cittadini” che sarebbe stato troppo chiedere ad un Papa e – per di più – Gesuita, nonostante i due secoli abbondanti passati dall’adozione di quel termine così laico e così carico di implicazioni non necessariamente gradite a Santa Romana Chiesa) e così ha concluso – con un piccolo peccato veniale – il proprio discorso di commiato al termine della visita al Quirinale: un palazzo storico che fu “loro” poi “nostro” dopo il 20 settembre 1870 e che – oggi – aspira in qualche misura ad essere “comune” proprio in quanto – come ha ricordato Papa Bergoglio citando il suo predecessore Benedetto – “Casa degli Italiani”.
Una mattinata intensa e prevedibilmente animata dal reciproco intento di incontro e di convergenza. Ma anche una mattinata che ha visto il Papa particolarmente – anche se non esplicitamente – preoccupato ed il Presidente Napolitano particolarmente stanco: il suo discorso è stato – come prevedibile – più formale e teso a sottolineare come non solo i due Concordati (1929 e 1984) rimangano i parametri di una vicinanza tutta particolare, ma anche come nell’ambito di una comunanza europea le “radici cristiane” giochino un ruolo di primo piano. Il tutto è stato immediatamente commentato come una riprova della solidità del dialogo tra credenti e noncredenti e – ovviamente come l’ennesima riconferma del riconoscimento del ruolo speciale che la Chiesa di Roma gioca in Italia.
E’ sfuggito però il fatto che il “preoccupato” Bergoglio abbia – pur tra le righe del rispetto “diplomatico” – proseguito la sua dura polemica sulla corruzione sistemica come fattore disgregante – tra l’altro – di una struttura a cui la Chiesa tiene tantissimo e cioè la famiglia. Oggi frastornata, svilita e priva di speranze come la grande maggioranza del Paese.
Non solo ma Papa Francesco ha anche impartito un garbato sermone sulla necessità che l’Italia ritrovi “creatività e concordia” e possa dare il proprio “contributo al consesso internazionale nella direzione della pace e della giustizia”. Detto ancora più esplicitamente significa che – come Italiano d’origine e come Pastore, Vescovo di Roma – condivida insoddisfazione e preoccupazione per i destini dell’Italia e dei suoi “abitanti”.
Volendo, potremmo anche immaginare la delusione che prova giorno per giorno dal momento del suo rientro definitivo.
Certo anche Napolitano ha ripreso questi temi parlando della necessità del recupero di “energia morale”. Peccato però che i destinatari preferiti del suo messaggio siano – in toto – coloro che hanno determinato – con comportamenti e scelte legislative e di governo – i fatti negativi e distruttori di tale energia. Fino all’abolizione di fatto del principio di base della Costituzione: “la sovranità appartiene al popolo”. Al popolo non ai Partiti – veri e/o presunti – e alla loro nomenklatura.
In breve un “cortocircuito” che sfugge ai “commentatori”, ma non a Bergoglio.
Certo è che, se invece di quest’ultimo il Conclave (e lo Spirito Santo) avessero scelto come successore di Benedetto il Vescovo di Milano Cardinale Scola, le cose sarebbero state più facili: si pensi che Scola starebbe attualmente progettando un ascensore “di cristallo” esterno al Duomo che permetta di raggiungerne “turisticamente” la cima. Una soluzione adottata decenni fa negli alberghi internazionali a cinque stelle. Ma è dubbio che questa soluzione avvicini né Dio, né l’estetica. Forse però si approssima al previsto “pateracchio” dell’Expo Milano 2015….
Quanto infine a Papa Francesco è dall’indomani della sua omelia sulla “pietra al collo” per i corrotti che si moltiplicano le voci su di una possibile “insurrezione” del verminaio che in tale corruzione prospera da decenni. Anche dietro il “Portone di Bronzo”.