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Mentre in Scozia si aprono le urne (con voto dai 16 anni in su…) che già questa notte avranno scritto una pagina nella storia d’Europa di cui si dovrà comunque tenere conto, in Italia alla Camera dei deputati si gioca una partita il cui senso profondo è uno solo: la nomenklatura (nonostante i proclami renziani) è a stragrande maggioranza disinteressata a problemi, sensibilità, impegno etico del Paese. Il braccio di ferro ingaggiato per imporre il ticket “renzuschiano” di due giudici alla Corte Costituzionale (Violante e Bruno) dimostra fino a che punto né i cittadini, né la libera opinione contino. E, sia detto per inciso, il nemico da battere per gli “zombies” della politica è il voto segreto perché libera comunque opinioni e decisioni degli “eletti del popolo”. I quali – così come prescrive la Costituzione, non “hanno vincolo di mandato”: nei confronti degli elettori, ma ovviamente anche dai Partiti o peggio dai loro variamente autoritari reggitori. Come già in precedenza, il nome di Violante, un ex magistrato su cui già più di un trentennio addietro Aldo Moro aveva espresso riserve quando tra magistratura e politica lanciava la sua pluridecennale “carriera” viene ripetutamente respinto (oltre tutto tenuto conto della sua candidatura in un’età “veneranda” per gli attuali standard.)
Eppure nulla sembra fermare il “patto d’acciaio” rinnovato ancora ieri da “Matteosubito” e dal Caimano: i due devono passare, tutto deve continuare come prima. Nulla è cambiato e poi ci si meraviglia che il Paese non riesca neppure ad affacciarsi ad un qualunque futuro, se non altro di speranza.
Su Bruno – avvocato dello stretto “entourage” berlusconiano (quello più discusso e più subalterno ai suoi personali interessi) – c’è poco da dire e molto da intuire. Di Violante, che esordì alla Presidenza della Camera con uno speranzoso (per lui medesimo…) appello alla riconciliazione tombale con i “giovani di Salò”, la storiografia lo caratterizza come “possibilista” in ogni direzione. Sic. Oggi – dopo decine di legislature parlamentari cerca un laticlavio a vita alla Corte (ma, Maestà, non ci sono giudici a Roma? C’è proprio bisogno di uomini che si servono delle istituzioni come gli autobus per i normali cittadini?).
Purtroppo al soccorso del “nostro” (lussuosamente trincerato nella sua personale Fondazione dal fantasioso ed auspicante nome “Italia decide”…) è personalmente sceso il Capo dello Stato che ha parlato – forse sapendo più di noi – di “contrapposizioni settarie” registrate dai voti invano ripetuti. Purtroppo non ha specificato di quali “settari” si trattasse.
E’ proprio sicuro il rappresentante della Nazione che respingere il piattino preparato dalla diarchia italica sia un fatto di settarismo? E che la circostanza che il secondo partito d’Italia (Cinque stelle) vi si opponga motivatamente non conta più del ronzio di una zanzara? E’ come dire che il problema del Paese è l’art 18 dello Statuto dei lavoratori e non lo sfibramento di tutto il Belpaese. Ma questo è il succo antipopolare dell’intera operazione renziana: un’operazione che furbescamente si attribuisce ai “sadici” di Bruxelles e non ad una concezione unilaterale – e padronale – del disastro nazionale e del tentativo (fin qui verbale…) di sortirne.
Mentre in noi la sortita presidenziale ha suscitato miriadi di dubbi, Renzi gioisce pubblicamente e ne fa un tassello del suo vano decisionismo.
Diceva il Presidente Mao che la morte di alcuni uomini è più leggera (=insignificante) di una piuma, mentre quella di altri pesa più del Monte Taishan (il Monte sacro di Cina). Indovinate voi a quale categoria si iscrivono i membri perpetui della nomenklatura italica.
Anche se ci consola ricordare ancora le parole del Vangelo: “il Signore acceca quelli che vuole perdere”…
Si dice anche che la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi… così – tanto per essere chiari – il renzismo è la prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi. Al riguardo valgano le dichiarazioni della attuale compagna del Caimano. Renzi è bravo, è un “giovane Silvio”, ma con – in più – la “cattiveria”. Aggiungeremmo noi con la virtuosistica capacità di involtolarla in una confezione di infaticabile, onnipresente, buonismo. E qualcuno – in un tessuto sociale completamente privo di punti di riferimento – ci crede disperatamente. Non si sono neppure accorti che i lavoratori (da “motore della storia” e da carburante per chi se ne è accaparrato per decenni la rappresentanza) sono stati definitivamente “declassati” a riottoso e parassitario “mercato del lavoro”. Ma non era questa una Repubblica “fondata” sul lavoro? O forse la fondazione ne sono decrepite oligarchie e le loro estemporanee “invenzioni”.
Forse il punto è che gli Italiani dovranno rassegnarsi ad auto-trasformarsi in “cittadini”: non ci sono – non ci siamo – riusciti in secoli: ce la faremo adesso? Riusciremo a respingere la legge super-truffa (“Italicum” e sue varianti…)? E a riprenderci almeno un pezzetto di sovranità?